Bibliografia Ferroviaria Italiana

 

Treno 8017. Il più grave disastro ferroviario italiano

 

Articolo di Alberto Bobbio, pubblicato in "Famiglia Cristiana", 29 febbraio 2004, pagine 50-53

 


 

BALVANO, LA PIÙ GRANDE TRAGEDIA FERROVIARIA D'EUROPA
UN DISASTRO CANCELLATO
NELLA GALLERIA DELLE ARMI MORIRONO ASFISSIATE 517 PERSONE. DOPO 60 ANNI, SIAMO RITORNATI SU QUEI BINARI INSANGUINATI CON DOMENICO STRIANO CHE QUELLA NOTTE PERSE LA MADRE...

 

di Alberto Bobbio
foto di Giancarlo Giuliani

 


La Galleria delle Armi; prende il nome dai briganti che due secoli fa si rifugiavano sulla montagna.

 

C'è un buco nero sotto la montagna, roccia grigia che brilla nel mezzogiorno tra le cime impervie della Lucania. Questa è la storia di un pellegrinaggio della memoria. Stringe il cuore, buca l'anima: è un viaggio della pietà. Domenico Striano si appoggia al bastone. Il sentiero fa una curva. Ecco la galleria, ecco il Monte delle Armi. Adesso Domenico Striano si inginocchia, una preghiera sulle labbra, il segno di croce. Sono passati 60 anni da che la sua mamma Giuseppina è morta là dentro il buco nero, soffocata sul treno 8.017 insieme ad altri 500 passeggeri, la più grande tragedia ferroviaria d'Europa, il disastro della Galleria delle Armi, incidente nascosto, dimenticato, cancellato. Non ebbero nemmeno un funerale quei morti. Non hanno nemmeno una tomba.

Domenico Striano vive a Corsico, alle porte di Milano, con la moglie Annunziata. Ci ha scritto: «Voglio andare a ricordare quegli "ultimi". Venite con me?». Non è una storia sua. Dovrebbe essere patrimonio del Paese. La racconta in auto, insieme alle sorelle Anna e Maria, mentre infiliamo la superstrada per Potenza. Bisogna andare sulla montagna di Balvano, nella Lucania scossa dal terremoto del 1980. Ma è una storia che comincia a Ercolano il primo marzo 1944, il peggiore degli anni terribili di guerra: «Incubi e tanta fame. La mamma piangeva. Il treno era una speranza». Partivano da Napoli, carri merci, locomotive a carbone, personale italiano e direzione alleata del Military railways service.

 

Il treno della fame

 

L'8.017 quella sera era diretto a Potenza, 47 vagoni e due locomotive per superare le pendenze. Andava a caricare legname, per ricostruire i ponti distrutti dalla guerra. Ma, come accadeva sempre, centinaia di persone assaltavano il treno per combattere la fame. In montagna potevano scambiare un po' di biancheria con uova e formaggio, salsa di pomodoro con un pezzo di carne, roba da poveri in guerra, borsa nera come unico mercato. «Mamma era partita con un pugno di lire cucite nel corsetto. La vedo salire sul treno, tirata su da mille braccia», dice il signor Striano. Era la sera del 2 marzo. Già il giorno prima, mamma Giuseppina aveva cercato di salire sul treno. Ma non si fermò. Domenico tornò a casa dalle sorelle. Vivevano tutti in una stanza. La mamma non tornò più.


I cadaveri sul marciapiede della stazione.

 

Il 7 marzo il quotidiano napoletano Risorgimento, l'unico autorizzato dalle autorità alleate, scrisse di un incidente ferroviario a un treno merci, pochi accenni vaghi, nessuna indicazione sul luogo, né sul numero delle vittime. A Milano il Corriere della Sera è più preciso. Ribatte un dispaccio dell'agenzia Reuters: 500 morti per asfissia in una galleria dell'Italia meridionale. II Governo Badoglio si riunisce il 9 marzo a Salerno. Dedica la seduta alla sciagura. Nel verbale si legge che «è da attribuirsi alla pessima qualità di carbone fornito dagli alleati» e che il treno era troppo pesante, 600 tonnellate contro le 350 previste. Anche gli alleati aprirono un'inchiesta. Ma i risultati a 60 anni di distanza sono ancora segreti. Nel 1951 il Times scrisse che gli alleati nascosero «l'incidente per evitare l'effetto deprimente sul morale degli italiani». Era il 1944.


Da sinistra: Liberata Gaizza, Pino Scardamaglio, Francesco Scognamiglio, Luigi Abruzzese, Francesco Sannino e Domenico Striano mostrano un articolo di Famiglia Cristiana, n. 11 del 1979, dedicato al disastro di Balvano.

A destra: Domenico e Annunziata Striano con la foto di mamma Giuseppina davanti al sacrario dedicato alle vittime nel cimitero di Balvano.

Domenico Striano vede passare la ferrovia lungo la piana del Sele. Sicigniano, Buccino, Romagnano al Monte, paesi appesi alle rocce, gole profonde che tagliano i monti: «Chissà cosa pensava la mamma?». Molti passeggeri si erano addormentati. Il treno si ferma a Balvano. Davanti c'è un altro merci. Passa mezzanotte. Il capostazione dà il segnale di via e batte sul telegrafo l'avviso per la stazione di Bella Muro al di là della galleria. Ma l'8.017 non ci arriverà mai.

 

La conta dei morti

 

Alle 5 del mattino uno dei frenatori scende sui binari sconvolto: «La galleria è piena di morti». Il treno si era fermato, i macchinisti aumentarono la pressione. Forse non si capirono: uno tirava verso l'uscita, altro verso l'entrata. Il monossido di carbonio è un veleno micidiale. La stazione di Balvano oggi è chiusa. Si ferma solo un treno al giorno. Vincenzo Pacella quella mattina lo chiamarono per tirar giù i morti dal treno, aveva 22 anni: «I primi morti li trovai sul tender: 4 uomini e 2 donne. Li stendevamo sul piazzale, divisi uomini e donne. A mezzogiorno arrivarono gli americani.

 


La cappella nel cimitero.

 


L'affresco che ricostruisce la tragedia, dipinto nella volta della cappella.

Costantino Di Carlo davanti alla tomba del trisnonno Francesco.

Avevano pane bianco e non ci dettero nemmeno da mangiare. Poi verso il pomeriggio ci misero in mano i badili e ci portarono al cimitero a scavare le fosse. Pioveva». Il cimitero è in cima al paese. La signora Striano stringe un mazzo di fiori blu. Donato Grieco, il custode, apre la cappella. L'ha fatta costruire negli anni '70 Salvatore Avventurato che nella sciagura perse il padre, un fratello e un cugino. «Almeno adesso non camminiamo più sui morti», dice il custode. Domenico Striano venne qui la prima volta nel 1967: «Posammo i fiori per terra. Era straziante». I morti vennero seppelliti in quattro fosse comuni, cosparsi di calce. Maria Le Caldare ha 103 anni: «Vennero dei camion da Potenza. Mamma mia. Caricavano i cadaveri e salivano per il paese. Il prete ebbe il tempo solo per una benedizione. Sembrava che gli inglesi volessero bruciarli». Il cimitero non aveva spazio, stretto alla montagna. Francesco Di Carlo era il macellaio e possedeva un terreno a monte del cimitero. Quella mattina andò dal sindaco e gli regalò la terra per le sepolture. La storia la racconta il trisnipote Costantino: «Poi il sindaco ci fece avere l'atto con la donazione e ci regalò la tomba di famiglia. Il mio trisnonno morì quella notte. Aveva 77 anni. Il cuore non resse all'emozione di quei momenti terribili».

Don Antonio Polo, parroco di Balvano, come tutti i suoi predecessori, ogni anno celebra una messa per i morti della Galleria delle Armi. Negli anni '70 alcune famiglie, per iniziativa di Salvatore Avventurato, con l'aiuto del Comune di Balvano, si tassarono per far riesumare poche ossa, che ora si trovano nei loculi della cappella.

 


La stazione di Balvano oggi. Il treno 8.017 era lungo circa 500 metri, con 47 vagoni.

 

Ma lo Stato dov'è?

Quanta gente morì sul treno 8.017? La lapide fatta incidere da Salvatore Avventurato indica 509 persone: 408 uomini e 101 donne. Il verbale del Governo di Badoglio parla di 517 morti. Gerardo Quagliata, dirigente dell'ufficio demografico del Comune di Balvano, mostra l'atto originale compilato quel giorno: «Risultano 235 morti. Ma si tratta di quelli identificati». In un libro pubblicato dieci anni fa da Mario Restaino, giornalista dell'Ansa di Potenza, l'elenco si ferma a 432. Domenico Striano nel 1967 non trovò il nome della mamma Giuseppina. Ma oggi è un bel giorno. Gerardo Quagliata nell'elenco dei morti del 1952 trova una «dichiarazione tardiva di morte: Giuseppina Formisano fu Pasquale». Adesso scende una lacrima sul viso di Maria, Anna e Domenico: «La mamma è morta per un dovere naturale. Andava in cerca di cibo per i suoi piccoli. Cinquant'anni fa abbiamo avuto un piccolo risarcimento, perché una sentenza considerò il disastro evento bellico. Ma molti orfani hanno faticato a rimettere insieme la vita in quegli anni duri». A Ercolano Domenico Striano ne ha rintracciati altri cinque: Liberata Gaizza, Francesco Scognamiglio, Luigi Abruzzese, Pino Scardamaglio, Francesco Sannino. «Vogliamo, adesso che sono passati 60 anni, che almeno siano onorati dallo Stato. Anche il loro è stato un sacrificio per la libertà».

ALBERTO BOBBIO

 


Il signor Striano con Gerardo Quagliata mentre cerca l'atto di morte della madre Giuseppina al Municipio di Salvano.

 


I registri all'anagrafe di Balvano. Il numero reale dei morti non è mai stato appurato. E continuano a restare segreti molti documenti sul disastro, il più tragico mai avvenuto in Europa.

Maria Le Caldare, 103 anni, e Vincenzo Pacella, 82 anni.